Era la notte fra il 2 e il 3 marzo 2008.
Ero incinta di poche settimane, e lo avevo scoperto da ancora meno.
Da giorni non mi veniva il ciclo e tutti a dirmi che era normale per chi si era appena sottoposta ad un operazione di asportazione di una cisti endometriosica.
Ma a me tanto normale non sembrava, perchè nonostante tutto avevo la coscienza sporca e nemmeno quel test di gravidanza fatto prima dell'operazione mi aveva davvero convinta.
Quando ho visto il test di gravidanza ero terrorizzata e felice allo stesso momento.
Ero felice perchè un bambino lo volevo tanto.
Ero terrorizzata perchè mi avevano operato, mentre già aspettavo da una settimana.
Ero terrorizzata perchè io e Lui siamo una coppia a rischio e c'erano strutture da allertare subito, step da seguire, esami da fare, e, in caso positivo, decisioni pesanti da prendere.
Era la notte fra il 2 e il 3 marzo 2008 dicevo.
Dormivo male ormai dalla fine di gennaio, mi svegliavo alle due e non c'era verso di ripendere sonno.
Mi si addormentavano le mani e in qualsiasi posizione mi mettessi, non trovavo pace.
All'inizio non avevo capito cos'era, e ora che lo sapevo, alla normale insonnia si aggiungevano i pensieri. E i brutti sogni.
Qualche sera prima ne avevo fatto uno che mi aveva scosso, ed ero molto agitata. Anche perchè mancava ancora un mese all'esame decisivo, e un mese era lungo, soprattutto tentando di far finta di nulla, perchè nessuno, a parte io e Lui, sapeva nulla.
Avevamo deciso insieme così, perchè poi, nell'ipotesi peggiore, sarebbe stato più facile. O almeno così speravamo.
Ma quella notte fra il 2 e il 3 marzo 2008 invece ho dormito. Tanto, e da subito. Un sonno pesante e ristoratore, di cui avevo tanto bisogno. E mentre dormivo, ho sognato.
Ho sognato che ero con mia madre, in una grande chiesa che assomigliava alla chiesa del quartiere di mia madre, quella dove avevamo fatto il corso prematrimoniale e dove abbiamo conosciuto il sacerdote che poi ci ha sposato, e ha battezzato i Chicchi.
E ho sognato che stavo assistendo ad una messa di Padre Pio.
Premetto che all'epoca non solo non ne ero una particolare fedele, ma ne avevo addirittura paura. Lo vedevo sempre in quelle foto con lo sguardo torvo, senza mai un sorriso, e mi aveva sempre fatto molta impressione.
Nonostante sia fedele, su di lui mi ero sempre mantenuta sul chi va là.
Quindi nel sogno la mia unica preoccupazione era andarmene via il più presto possibile, anche perchè c'era tanta gente intorno, una calca pazzesca, che mi dava ulteriormente fastidio.
Ma mia madre mi teneva forte per il braccio e mi impediva di uscire.
Ad un certo punto dal corridoio laterale la calca di gente di apre e me lo ritrovo davanti, mentre mia madre mi spinge verso di lui urlando "vai a confessarti" come faceva di solito a quei tempi.
Lo guardo e vedo che era vestito come uno straccione, con una saio rovinato, lacero, pieno di buchi e soprattutto sporco, quasi nero.
Ma il viso e le mani, no, erano belle, luminose, e lui rideva e mi guardava con un espressione di serenità. Mi guarda negli occhi e mi dice, riferendosi alla frase di mia madre: "non c'è bisogno, tranquilla, andrà tutto bene".
Si gira e se ne va dentro una porticina.
E io rimango ferma, immobile, pensando: "Vedi, hai sempre avuto paura di Padre Pio, invece ha un viso bellissimo e sorridente".
Il 3 marzo 2008, alle 7 mi sveglio, e vado in cucina, a preparare il caffè. All'epoca siamo solo io e Lui, quindi la tv è ancora sintonizzata sul canale del telegiornale.
"Stanotte, a sorpresa, è stata riesumata la salma di Padre Pio: le mani e il volto sono perfettamente conservate".
Sette mesi dopo è nata Chicca.
Buon compleanno, mio piccolo miracolo!
lunedì 15 ottobre 2012
giovedì 4 ottobre 2012
un anno fa
La prima volta che mi sono imbattuta in lei cercavo disperatamente notizie sulla chemio in rete... mia madre aveva fatto la sua prima infusione qualche giorno prima e io mi documentavo a manetta su internet alla ricerca di qualsiasi cosa fosse utile per aiutarla: descrizione minuziosa degli effetti collaterali, consigli, dritte, anche solo una parola di conforto.
Perché se è vero che la chemio l'ha fatta mia madre, io l'ho fatta insieme a lei, per ogni istante di quei lunghissimi nove mesi.
La notte della prima infusione non ho chiuso occhio, per dire, mi sentivo addosso ogni sintomo di mia madre. Anche se a lei non l'ho mai detto.
E per caso mi sono imbattuta in lei.
Una scrittura divertente, ironica, che sdrammatizzava tutto, anche le cose più brutte, quelle che sapevo essere così, perchè le vedevo in mia madre e capivo che, in un soggetto così giovane, dovevano essere davvero devastanti.
Ma da quelle pagine traspariva voglia di vivere, di farcela, di esserci, nonostante tutto.
L'ho seguita così, silenziosamente, per un anno intero.
Ho pregato per lei, sono stata in ansia per lei, ho perfino pianto con lei.
Ma ho anche riso molto, e pensato che a volte la vita è strana, ti fa capire tante cose dalla gente più disparata, anche quella che non conoscerai mai, e che non avresti mai conosciuto, se non ci fosse stata la rete.
Gli ultimi giorni che la leggevo, ho capito dentro di me che non ce l'avrebbe fatta, eppure non ci ho voluto credere fino alla fine.
E fino alla fine non le ho scritto mai, per pudore, per timidezza, o perchè forse dentro di me speravo che ci sarebbe sempre stato tempo per farlo, quando le cose fossero migliorate.
Ed è la cosa che mi dispiace di più.
Perchè pensiamo sempre che ci sia tempo, tanto tempo, per fare le cose, e invece dovremmo imparare a non perderlo, questo tempo, che fugge via veloce e non torna più indietro.
Perchè da quando non c'è più, la penso tanto, come penso a sua madre e a suo marito. E mi ritrovo a pregare per loro, senza saperlo, e a sperare che a tutto ci sia un significato, una motivazione, per trovare un po' di conforto.
Tutto questo per dire che è un anno che Anna staccato Lisa non c'è più, e dopo un anno, io la penso ancora, e credo che questa sia una cosa bella.
Ciao Anna staccato Lisa.
Perché se è vero che la chemio l'ha fatta mia madre, io l'ho fatta insieme a lei, per ogni istante di quei lunghissimi nove mesi.
La notte della prima infusione non ho chiuso occhio, per dire, mi sentivo addosso ogni sintomo di mia madre. Anche se a lei non l'ho mai detto.
E per caso mi sono imbattuta in lei.
Una scrittura divertente, ironica, che sdrammatizzava tutto, anche le cose più brutte, quelle che sapevo essere così, perchè le vedevo in mia madre e capivo che, in un soggetto così giovane, dovevano essere davvero devastanti.
Ma da quelle pagine traspariva voglia di vivere, di farcela, di esserci, nonostante tutto.
L'ho seguita così, silenziosamente, per un anno intero.
Ho pregato per lei, sono stata in ansia per lei, ho perfino pianto con lei.
Ma ho anche riso molto, e pensato che a volte la vita è strana, ti fa capire tante cose dalla gente più disparata, anche quella che non conoscerai mai, e che non avresti mai conosciuto, se non ci fosse stata la rete.
Gli ultimi giorni che la leggevo, ho capito dentro di me che non ce l'avrebbe fatta, eppure non ci ho voluto credere fino alla fine.
E fino alla fine non le ho scritto mai, per pudore, per timidezza, o perchè forse dentro di me speravo che ci sarebbe sempre stato tempo per farlo, quando le cose fossero migliorate.
Ed è la cosa che mi dispiace di più.
Perchè pensiamo sempre che ci sia tempo, tanto tempo, per fare le cose, e invece dovremmo imparare a non perderlo, questo tempo, che fugge via veloce e non torna più indietro.
Perchè da quando non c'è più, la penso tanto, come penso a sua madre e a suo marito. E mi ritrovo a pregare per loro, senza saperlo, e a sperare che a tutto ci sia un significato, una motivazione, per trovare un po' di conforto.
Tutto questo per dire che è un anno che Anna staccato Lisa non c'è più, e dopo un anno, io la penso ancora, e credo che questa sia una cosa bella.
Ciao Anna staccato Lisa.
venerdì 28 settembre 2012
Le idee chiare
Chicco, 16 mesi, ha iniziato il nido martedì.
Farebbe circa 4 ore, dalle 9,00 alle 12,30, giusto per dare un po' di respiro a mia madre, che poi li ha entrambi da pranzo fino a sera.
Le maestre sono brave, benché il nido (comunale) lasci un po' a desiderare.
Lì può giocare, fare esperienza nuove e, soprattutto, cose che a casa non farebbe mai (pasticciare con i colori, la farina, o anche semplicemente provare a mangiare da solo).
Almeno così me la sono raccontata fino a oggi.
Dopo tre giorni abbastanza tranquilli, oggi un'ora mezza di nido = un'ora e mezza di pianto... quando me l'hanno portato si è aggrappato a me come una cozza allo scoglio e non c'era verso per scollarlo. Nemmeno sul passeggino voleva andare, per dire.
Ecco, convincetemi che è la scelta giusta, perchè sto cambiando idea...
lunedì 24 settembre 2012
Amicizie
Mi sono persa tanti amici per la strada in questi anni.
Un po' perchè erano legati alla mia vecchia storia e hanno scelto, a torto o a ragione, di rimanere più amici del mio ex che miei (benché fossero stati prima miei e poi suoi).
Un po' perchè la vita è così: c'è un periodo in cui la strada la percorri insieme, poi improvvisamente le strade si separano e incontri altri compagni di viaggio, e dopo un po' ci si perde di vista.
Ma io sono una nostalgica, e ogni tanto mi volto indietro e scopro che mi mancano un sacco di persone, e allora mi metto a scrivere, a rintracciare, a cercare su Facebook, a pianificare incontri.
Ma a tanto sforzo da parte mia non equivale un altrettanto risultato... qualche mail striminzita, una telefonata tiepida, un "sì, ma certo, poi organizziamo..", ma senza troppa convizione.
La dura realtà è che a me non mi cerca mai nessuno (e scusate il rafforzativo, ma ci sta tutto)!
E siccome quando succedono le cose mi faccio sempre delle domande e poi mi rispondo da sola, allora mi interrogo sul mio essere amica, e penso che forse non sono gli altri, ma sono proprio io che in realtà non funziono.
E non funziono perchè nei rapporti con gli altri io do' sempre tanto, forse anche troppo, ma poi mi aspetto dagli altri lo stesso e se non succede, ci rimango male.
Perchè io non so chiedere, e mi limito ad aspettare un certo comportamento, e rimanerci di sale, quando questo, giustamente o ingiustamente, non arriva.
Quando avevo 15 anni avevo due amici speciali, che erano il mio mondo, nati casualmente entrambi il giorno di Capodanno.
Uno era R., bel ragazzo tenebroso dal nome straniero, a cui ho voluto un bene matto e disperato. Voi direte che sotto sotto ne ero innamorata, e forse era così, non lo saprei dire nemmeno oggi. A 15 anni certi confini si mescolano, ed è sempre tutto così assoluto, e perentorio.
Volevo così bene a R. che gli raccontavo tutto di me, ed era contenta quando lui stava bene, ed ero triste quando lui era triste. E la batosta che mi arrivò quando, giunti all'Università, lui sparì improvvisamente dalla mia vita fu tale che ancora oggi, quando ci penso, mi fa male.
Un giorno di qualche anno dopo mi scrisse una lettera, con la sua bella grafia svolazzante, per chiedermi scusa, e dirmi che era sparito così non per colpa mia, ma per colpa sua, perchè io ero troppo e quell'amicizia, così carica di cose e aspettative, lui non riusciva più a gestirla.
Un po' come dire "ti lascio perchè mi ami troppo e non son degno di te".
L'altra amica speciale era C., la mia compagna di banco del liceo, la mia confidente e la mia complice.
Eravamo molto diverse, eppure siamo state insieme per 5 anni, senza mai una litigata o una incomprensione.
Alla fine dell'ultimo anno di liceo, dopo la maturità, la mamma di C. si ammalò e morì nel giro di pochi mesi, senza che io ne sia mai venuta a conoscenza diretta.
Un giorno di inizio estate andai a casa di C. per portarle una cosa che le serviva per le vacanze e non mi rispose al citofono, poi nemmeno al telefono, e da allora non l'ho mai più rivista.
Della mamma lo venni a sapere mesi dopo, tramite amici del liceo, che invece l'avevano vista e con cui aveva parlato. E mi riferirono che con me, no, non avrebbe voluto parlare.
Quando nacque Chicca mi cercò lei, via Facebook, dicendomi che in questi anni mi aveva pensato, e che le era dispiaciuto per come ci eravamo lasciate. Ero contenta e speravo che forse quel rapporto, e quella ferita, si potessero ricucire.
Ci siamo scambiate qualche mail e foto dei rispettivi figli.
Poi, sparita di nuovo.
Per molti anni, pensando a loro, mi sono venute in mente le parole di Simone de Beauvoir, all'epoca la mia scrittrice preferita: “Insieme avevamo lottato contro il destino fangoso che ci minacciava e per molto tempo ho pensato che avevo pagato la mia libertà con la sua morte”.
Un po' perchè erano legati alla mia vecchia storia e hanno scelto, a torto o a ragione, di rimanere più amici del mio ex che miei (benché fossero stati prima miei e poi suoi).
Un po' perchè la vita è così: c'è un periodo in cui la strada la percorri insieme, poi improvvisamente le strade si separano e incontri altri compagni di viaggio, e dopo un po' ci si perde di vista.
Ma io sono una nostalgica, e ogni tanto mi volto indietro e scopro che mi mancano un sacco di persone, e allora mi metto a scrivere, a rintracciare, a cercare su Facebook, a pianificare incontri.
Ma a tanto sforzo da parte mia non equivale un altrettanto risultato... qualche mail striminzita, una telefonata tiepida, un "sì, ma certo, poi organizziamo..", ma senza troppa convizione.
La dura realtà è che a me non mi cerca mai nessuno (e scusate il rafforzativo, ma ci sta tutto)!
E siccome quando succedono le cose mi faccio sempre delle domande e poi mi rispondo da sola, allora mi interrogo sul mio essere amica, e penso che forse non sono gli altri, ma sono proprio io che in realtà non funziono.
E non funziono perchè nei rapporti con gli altri io do' sempre tanto, forse anche troppo, ma poi mi aspetto dagli altri lo stesso e se non succede, ci rimango male.
Perchè io non so chiedere, e mi limito ad aspettare un certo comportamento, e rimanerci di sale, quando questo, giustamente o ingiustamente, non arriva.
Quando avevo 15 anni avevo due amici speciali, che erano il mio mondo, nati casualmente entrambi il giorno di Capodanno.
Uno era R., bel ragazzo tenebroso dal nome straniero, a cui ho voluto un bene matto e disperato. Voi direte che sotto sotto ne ero innamorata, e forse era così, non lo saprei dire nemmeno oggi. A 15 anni certi confini si mescolano, ed è sempre tutto così assoluto, e perentorio.
Volevo così bene a R. che gli raccontavo tutto di me, ed era contenta quando lui stava bene, ed ero triste quando lui era triste. E la batosta che mi arrivò quando, giunti all'Università, lui sparì improvvisamente dalla mia vita fu tale che ancora oggi, quando ci penso, mi fa male.
Un giorno di qualche anno dopo mi scrisse una lettera, con la sua bella grafia svolazzante, per chiedermi scusa, e dirmi che era sparito così non per colpa mia, ma per colpa sua, perchè io ero troppo e quell'amicizia, così carica di cose e aspettative, lui non riusciva più a gestirla.
Un po' come dire "ti lascio perchè mi ami troppo e non son degno di te".
L'altra amica speciale era C., la mia compagna di banco del liceo, la mia confidente e la mia complice.
Eravamo molto diverse, eppure siamo state insieme per 5 anni, senza mai una litigata o una incomprensione.
Alla fine dell'ultimo anno di liceo, dopo la maturità, la mamma di C. si ammalò e morì nel giro di pochi mesi, senza che io ne sia mai venuta a conoscenza diretta.
Un giorno di inizio estate andai a casa di C. per portarle una cosa che le serviva per le vacanze e non mi rispose al citofono, poi nemmeno al telefono, e da allora non l'ho mai più rivista.
Della mamma lo venni a sapere mesi dopo, tramite amici del liceo, che invece l'avevano vista e con cui aveva parlato. E mi riferirono che con me, no, non avrebbe voluto parlare.
Quando nacque Chicca mi cercò lei, via Facebook, dicendomi che in questi anni mi aveva pensato, e che le era dispiaciuto per come ci eravamo lasciate. Ero contenta e speravo che forse quel rapporto, e quella ferita, si potessero ricucire.
Ci siamo scambiate qualche mail e foto dei rispettivi figli.
Poi, sparita di nuovo.
Per molti anni, pensando a loro, mi sono venute in mente le parole di Simone de Beauvoir, all'epoca la mia scrittrice preferita: “Insieme avevamo lottato contro il destino fangoso che ci minacciava e per molto tempo ho pensato che avevo pagato la mia libertà con la sua morte”.
giovedì 13 settembre 2012
Mammitudini
Leggo in giro molti posti sui primi giorni di scuola, sugli inserimenti, sull'utilità o inutilità degli stessi, sul lavoro e maternità, su "chepallestifiglichetoccainseriremanonlipossosmollaresubito?" o su "oddiononlivogliolasciarecomepossofare!"
Tutti mi lasciano perplessa per l'estrema generalizzazione delle posizioni.
Ci sono le mamme che 'sti figli li sbatterebbero a scuola già a sei mesi fino alle 20 di sera perchè "così sono indipendenti e io c'ho da lavorà" e ti giudicano una rompiballe crescibamboccioni se invece decidi di perdere qualche giorno per inserirli, e quelle che ti giudicano una delinquente se manifesti anche una piccola insofferenza perchè perdi ore di lavoro e il capo ti fa le parti per la settimana persa.
Mamme e lavoro. Mamme e carriera.
Non facciamo altro che dire che non è giusto, che agli uomini non capita, che ci dovrebbe essere parità, che a Londra è meglio, che in Germania sono più fighi, che in Francia quando mai, e bla bla bla.
Io sono l'ultima figlia, femmina, nata dopo due maschi, e sono cresciuta solo con mia madre, di origini siciliane e con il mito del figlio maschio.
Ora mia madre, anche sotto tortura, vi dirà che per lei i figli sono tutti uguali e che li ha educati allo stesso modo, e io sono certa che lei dice la verità, e che ne è davvero convinta. Ma poi nella realtà dei fatti le cose sono state diverse e se i miei fratelli ora sono sempre all'estero a fare lavori fichissimi e io sono qui vicino a mia madre a fare un lavoro che mai avrei pensato di fare, ci sarà un motivo.
Ma tant'é.
Sono cresciuta, quindi, con il mito del femminismo, radicato in me probabilmente come rivolta contro mia madre che fin da piccola mi ripeteva che le donne si devono sposare, possibilmente con uno "buono", e fare figli presto, e stare a casa a crescerli.
E io invece a dire che no, decido io il mio destino, prima il lavoro e la carriera, io mi devo realizzare prima come persona, nobody's wife, figli manco morta, le donne sono come gli uomini, i figli non devono essere un ostacolo, posso fare il Presidente degli Stati Uniti e fare la mamma e la moglie, con i figli devono starci anche i padri mentre la madre va in giro per il mondo a farsi gli affari suoi.
Se mi risento oggi, mi sembro una candidata di Miss Italia che snocciola i suoi buoni propositi davanti a Frizzi.
E mia madre mi guardava con gli occhi di fuori, ripetendo come un mantra: "Vedrai, quando avrai i figli, capirai".
Poi i figli li ho fatti davvero, e per far vedere a tutti quanto ero figa e quanto ero brava, ho lavorato col pancione fino alla sera prima di partorire: guidavo, sono andata perfino in motorino, andavo alle udienze, facevo riunioni, pianificavo come non ci fosse un domani.
Eppoi dopo nemmeno un mese dalla nascita (per entrambi), via di nuovo a lavoro.
Mi è pesato? Sì, tanto.
Ne è valsa la pena? No
Perchè io non sono un uomo e per la prima volta nella mia vita ho scoperto che non voglio esserlo.
Ho scoperto che il lavoro, la carriera, nemmeno i soldi, valevano tutto lo sbattimento, la stanchezza, lo stress, ma soprattutto la perdita dei momenti più belli della gravidanza prima, e dei primi mesi dopo.
Ho scoperto che fanno bene quelle che si prendono anche un anno, se la legge glielo consente, e che sono stata fessa io, che potevo lavorare da casa, a dare tutta quella disponibilità, perchè nel mio settore fanno tutte così.
Ho scoperto con sorpresa di essere innamorata dei miei figli, di stare bene con loro, anche se mi fanno impazzire, e che mi mancano, e spesso mi soprendo ad essere gelosa di mia madre, che se li gode durante la giornata e mi racconta i loro piccoli progressi.
Io non ho la ricetta universale, ognuna vive la maternità come crede.
Io lavoro con una che è completamente anaffettiva e workaholic: ha fatto due figli solo perchè li facevano tutte le sue amiche e li ha tirati su con tate e baby sitter (lei se le può permettere) e passa la giornata al telefono ad organizzare la loro vite senza esserne mai parte attiva, pur di stare in Studio anche 20 ore al giorno.
Quindi so che ci sono donne a cui va bene così, a cui i figli pesano, o comunque vengono dopo un sacco di altre cose.
Ma io ho capito, dopo anni, di non essere cosi e di voler accompagnare i miei figli nelle loro prime esperienze, senza traumi e possibilmente senza carichi di stress, miei e loro.
Sbaglio? I miei figli saranno bamboccioni a vita? Sto tradendo il femminismo e condanno le donne nuovamente al confino della casalinghitudine? Non lo so.
Spero solo che almeno da grandi non si ricordino come me con tristezza del primo giorno di asilo, quando la bidella mi strappò dalle mani di mia madre mentre piangevo, urlandole di andarsene, e sbattendomi nel banco da sola aspettando che smettessi.
Tutti mi lasciano perplessa per l'estrema generalizzazione delle posizioni.
Ci sono le mamme che 'sti figli li sbatterebbero a scuola già a sei mesi fino alle 20 di sera perchè "così sono indipendenti e io c'ho da lavorà" e ti giudicano una rompiballe crescibamboccioni se invece decidi di perdere qualche giorno per inserirli, e quelle che ti giudicano una delinquente se manifesti anche una piccola insofferenza perchè perdi ore di lavoro e il capo ti fa le parti per la settimana persa.
Mamme e lavoro. Mamme e carriera.
Non facciamo altro che dire che non è giusto, che agli uomini non capita, che ci dovrebbe essere parità, che a Londra è meglio, che in Germania sono più fighi, che in Francia quando mai, e bla bla bla.
Io sono l'ultima figlia, femmina, nata dopo due maschi, e sono cresciuta solo con mia madre, di origini siciliane e con il mito del figlio maschio.
Ora mia madre, anche sotto tortura, vi dirà che per lei i figli sono tutti uguali e che li ha educati allo stesso modo, e io sono certa che lei dice la verità, e che ne è davvero convinta. Ma poi nella realtà dei fatti le cose sono state diverse e se i miei fratelli ora sono sempre all'estero a fare lavori fichissimi e io sono qui vicino a mia madre a fare un lavoro che mai avrei pensato di fare, ci sarà un motivo.
Ma tant'é.
Sono cresciuta, quindi, con il mito del femminismo, radicato in me probabilmente come rivolta contro mia madre che fin da piccola mi ripeteva che le donne si devono sposare, possibilmente con uno "buono", e fare figli presto, e stare a casa a crescerli.
E io invece a dire che no, decido io il mio destino, prima il lavoro e la carriera, io mi devo realizzare prima come persona, nobody's wife, figli manco morta, le donne sono come gli uomini, i figli non devono essere un ostacolo, posso fare il Presidente degli Stati Uniti e fare la mamma e la moglie, con i figli devono starci anche i padri mentre la madre va in giro per il mondo a farsi gli affari suoi.
Se mi risento oggi, mi sembro una candidata di Miss Italia che snocciola i suoi buoni propositi davanti a Frizzi.
E mia madre mi guardava con gli occhi di fuori, ripetendo come un mantra: "Vedrai, quando avrai i figli, capirai".
Poi i figli li ho fatti davvero, e per far vedere a tutti quanto ero figa e quanto ero brava, ho lavorato col pancione fino alla sera prima di partorire: guidavo, sono andata perfino in motorino, andavo alle udienze, facevo riunioni, pianificavo come non ci fosse un domani.
Eppoi dopo nemmeno un mese dalla nascita (per entrambi), via di nuovo a lavoro.
Mi è pesato? Sì, tanto.
Ne è valsa la pena? No
Perchè io non sono un uomo e per la prima volta nella mia vita ho scoperto che non voglio esserlo.
Ho scoperto che il lavoro, la carriera, nemmeno i soldi, valevano tutto lo sbattimento, la stanchezza, lo stress, ma soprattutto la perdita dei momenti più belli della gravidanza prima, e dei primi mesi dopo.
Ho scoperto che fanno bene quelle che si prendono anche un anno, se la legge glielo consente, e che sono stata fessa io, che potevo lavorare da casa, a dare tutta quella disponibilità, perchè nel mio settore fanno tutte così.
Ho scoperto con sorpresa di essere innamorata dei miei figli, di stare bene con loro, anche se mi fanno impazzire, e che mi mancano, e spesso mi soprendo ad essere gelosa di mia madre, che se li gode durante la giornata e mi racconta i loro piccoli progressi.
Io non ho la ricetta universale, ognuna vive la maternità come crede.
Io lavoro con una che è completamente anaffettiva e workaholic: ha fatto due figli solo perchè li facevano tutte le sue amiche e li ha tirati su con tate e baby sitter (lei se le può permettere) e passa la giornata al telefono ad organizzare la loro vite senza esserne mai parte attiva, pur di stare in Studio anche 20 ore al giorno.
Quindi so che ci sono donne a cui va bene così, a cui i figli pesano, o comunque vengono dopo un sacco di altre cose.
Ma io ho capito, dopo anni, di non essere cosi e di voler accompagnare i miei figli nelle loro prime esperienze, senza traumi e possibilmente senza carichi di stress, miei e loro.
Sbaglio? I miei figli saranno bamboccioni a vita? Sto tradendo il femminismo e condanno le donne nuovamente al confino della casalinghitudine? Non lo so.
Spero solo che almeno da grandi non si ricordino come me con tristezza del primo giorno di asilo, quando la bidella mi strappò dalle mani di mia madre mentre piangevo, urlandole di andarsene, e sbattendomi nel banco da sola aspettando che smettessi.
lunedì 10 settembre 2012
ma chi l'ha detto che le verdure fanno bene?!
Il marito fa la paleodieta e dopo anni in cui schifava le verdure e si mangiava a malapena l'insalata, ora si scofana chili e chili di verdure cotte e crude.
... e così quando ieri sera, dopo aver fatto bagni e asciugato capelli, cucinato e fatto mangiare pappe, messo a letto i bimbi e letto favole, la moglie si è ritrovata alle 10 di sera a grigliare le zucchine, ha pensato che quasi quasi era meglio solo l'insalata!
mercoledì 5 settembre 2012
mi mancano...
Siamo tornati domenica mattina, dopo un mese intero fuori, prima al mare e poi in montagna.
E' stato un mese faticoso, certo, ma è stato bello e intenso, pieno di sonnellini, di giochi e passeggiate, di risate e balli di gruppo.
Ora sono al lavoro e invece di concentrarmi sulle mille cose che ci sarebbero da fare, continuo a guardare le foto delle vacanze e a dirmi che mi mancano da morire le mie due pesti.
Anche se mi stancano, e mi fanno arrabbiare e non mi danno un solo minuto di tregua, mi mancano lo stesso e odio questo lavoro che mi tiene lontano da loro e mi fa perdere un mondo di momenti bellissimi.
E lo posso dire solo qua che mi mancano, perchè se lo dici in giro ti guardano tutti come una matta, una di quelle mamme strappacuore italiane un po' pesanti, che non vanno più di moda.
Perchè qua è tutto un dire "meno male che sono tornata al lavoro così mi riposo", "oddio la vacanza è stata una tortura, non vedevo l'ora che finiva", "non vedo l'ora che inizia la scuola chè non li sopporto più in casa", e io sorrido facendo finta di annuire, mentre me farei altri tre di mesi cuore a cuore con i miei, a spupazzarmeli dalla mattina alla sera, dentro l'acqua del mare, o in piscina, o anche solo rotolando sopra un prato.
Perchè il tempo corre via e fra un po' così cuore a cuore con me non ci vorranno più stare (in vacanza, poi, non ne parliamo).
Perchè ho passato tre quarti della mia vita a farmi convincere che il lavoro viene prima di tutto, la carriera, la soddisfazione personale, l'autonomia professionale, per poi scoprire a quasi 40 anni che la cosa più bella della giornata è tornare la sera e preparare da mangiare alla mia famiglia.
Perchè a volte penso che tutta questa emancipazione di cui ci riempiamo (o ci riempiono) la bocca e la testa sia servita solo a farci fare il doppio del lavoro, togliendoci nel contempo le cose belle della vita.
E' stato un mese faticoso, certo, ma è stato bello e intenso, pieno di sonnellini, di giochi e passeggiate, di risate e balli di gruppo.
Ora sono al lavoro e invece di concentrarmi sulle mille cose che ci sarebbero da fare, continuo a guardare le foto delle vacanze e a dirmi che mi mancano da morire le mie due pesti.
Anche se mi stancano, e mi fanno arrabbiare e non mi danno un solo minuto di tregua, mi mancano lo stesso e odio questo lavoro che mi tiene lontano da loro e mi fa perdere un mondo di momenti bellissimi.
E lo posso dire solo qua che mi mancano, perchè se lo dici in giro ti guardano tutti come una matta, una di quelle mamme strappacuore italiane un po' pesanti, che non vanno più di moda.
Perchè qua è tutto un dire "meno male che sono tornata al lavoro così mi riposo", "oddio la vacanza è stata una tortura, non vedevo l'ora che finiva", "non vedo l'ora che inizia la scuola chè non li sopporto più in casa", e io sorrido facendo finta di annuire, mentre me farei altri tre di mesi cuore a cuore con i miei, a spupazzarmeli dalla mattina alla sera, dentro l'acqua del mare, o in piscina, o anche solo rotolando sopra un prato.
Perchè il tempo corre via e fra un po' così cuore a cuore con me non ci vorranno più stare (in vacanza, poi, non ne parliamo).
Perchè ho passato tre quarti della mia vita a farmi convincere che il lavoro viene prima di tutto, la carriera, la soddisfazione personale, l'autonomia professionale, per poi scoprire a quasi 40 anni che la cosa più bella della giornata è tornare la sera e preparare da mangiare alla mia famiglia.
Perchè a volte penso che tutta questa emancipazione di cui ci riempiamo (o ci riempiono) la bocca e la testa sia servita solo a farci fare il doppio del lavoro, togliendoci nel contempo le cose belle della vita.
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